Autore: M
Osservazioni
La Legge del Progresso di Gruppo comincia ad essere percepita coscientemente solo dal discepolo consacrato e accettato. Quando ha stabilito certi ritmi, quando opera secondo precise direttive di gruppo e quando si appresta in modo definito e con cosciente comprensione alle espansioni dell’iniziazione, allora questa legge comincia a governarlo ed egli impara ad obbedirvi per istinto, intuito e intellettualmente. Osservando questa legge il discepolo si dispone all’iniziazione.
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Evola? Un reazionario. Ma chi è o cos’è un reazionario?
Per dare corso alle domande del titolo occorre prima spiegare chi o cos’è un reazionario, in questo tempo in cui tutti credono di saper tutto e nessuno sa niente, in questo tempo in cui le parole vengono utilizzate con un significato opposto alla loro verità.
Reazionario è il contrario di rivoluzionario. Reazionario è chi, di fronte a una protesta di popolo, si schiera a sostegno del potere. Non importa se il popolo ha fame: importano solo le ragioni superiori del potere.
Giulio Cesare Evola è un reazionario. Non perché sia di nobili origini: suo padre è un meccanico, sua madre una casalinga: come scrive Luciano Pirrotta nel saggio “La Maschera di Pietra – Julius Evola dall’Idealismo Magico alla Tradizione“, entrambi erano di modesta estrazione sociale e di nessuna ascendenza nobiliare, per quanto ‘Julius’ tenesse alquanto ad esser chiamato barone”.
Evidentemente, non abbiamo nulla in contrario alle umili origini. Quel che diventa difficile da sopportare è l’arroganza con cui Julius salta dall’altra parte. Ad aiutarlo in questo intento è una persona che da lui riceverà non tanto ingratitudine ma piena ostilità: l’uomo chiave di questa storia è Arturo Reghini, che offre a Evola di collaborare alla rivista Atanor.
Lo fa con riluttanza, Reghini, e lo scrive in apertura, come presentazione del saggio di Evola, sentendo quasi di dover giustificare l’inclusione, in una rivista di filosofia spiritualista, di un articolo politico. E lo fa con sapienza, perché vede in quell’articolo non un contributo alla politica in senso spicciolo, ma una critica importante per il tempo in cui avveniva e con implicazioni nella dimensione esoterica. Anche se non poteva prevedere gli esiti infausti di quella scelta.
Il matematico Reghini non è un uomo semplice né un superficiale. Raffinato pitagorico, ha acume, intelletto, qualità intellettuale. Riconosce in Evola il vento della novità contemporanea. Non sa ancora fin dove l’arrivismo senza freni di un ipotetico poeta dadaista può arrivare.
Se per Reghini il motivo di contemplazione è la natura dell’Io e della sua collocazione rispetto all’Universo intero, il tema esistenziale del superamento dell’egoità per entrare in connessione con l’Essere Universale, ecco in Evola il ribaltamento di un superuomo nietzscheiano che non cede nulla del suo ego e, al contrario, pretende di tutto contenere, divorare.
Inevitabile per Evola il desiderio di percorrere l’occasione di scalata sociale che gli poteva offrire il fascismo. Da figlio del meccanico a ideologo del regime! Ma le vicende non sono facili: Evola chiede più volte di iscriversi al PNF e, di fronte al rifiuto – a causa della revoca del grado di ufficiale di complemento in esercito, che aveva riportato per motivi disciplinari, subendo la riduzione a soldato semplice – non esita a ricorrere a pressioni e raccomandazioni di amici influenti.
René Guénon, probabilmente il miglior scrittore tra i compassati esoteristi di maniera – sua la definizione di rivelare come “velare nuovamente” -, sospetta delle capacità critico-intellettuali di Evola e, ironicamente, scrive: “Sono curioso di sapere quel che Evola vi dirà del libro tibetano; senza dubbio vi avrà visto ancora della ‘magia’ perché, secondo lui, tutto vi si riconduce”.
La posizione di Reghini è piuttosto quella della Tradizione: rivendica alla Massoneria il ruolo di testimone e custode ideale della sapienza esoterica “italica” sedimentata nei secoli attraverso Orfismo, Pitagorismo, Ermetismo, per giungere a Dante Alighieri, a Giordano Bruno. Reghini si colloca in un’area di mezzo che tenta di conciliare Napoleone Bonaparte (attribuendogli il ruolo di redivivo Imperatore, rinnovatore dei fasti di quell’idea di Impero mai sopita, che covava sotto la cenere di secoli di oppressione clericale e mercantilista) e Giuseppe Mazzini (cui riconosceva il più alto ruolo di vero Padre della Patria). Per questa via, giunge a posizioni simili a quelle definite da Giovanni Gentile, che volle fare di Mazzini un precursore di Mussolini.
A questa concezione molto contribuì, specie sotto il profilo della dottrina magica, Evola che, con la rivista Krur, inventò il famoso resoconto medianico “Ekatlos” che avrebbe condotto alla cerimonia con cui vennero offerti a Mussolini uno scettro, un’ascia etrusca e il fascio littorio che era stato della Repubblica Romana, al tempo di Mazzini.
Le cronache affermano che Mussolini non diede peso a questa iniziativa, che avrebbe dovuto essere l’inizio del percorso magico del fascismo e, soprattutto, avrebbe dovuto stabilire continuità con il progresso mazziniano. Al contrario, Mussolini optò per stabilirsi a Villa Torlonia, dove l’aristocrazia dello Stato Pontificio lo circondò di attenzioni affinché fosse cancellata per sempre l’eresia mazziniana e si giungesse a riaffermare il potere del Papa, in un’alleanza imperiale che avrebbe ridimensionato le pretese Repubblicane di autonomia dalla Chiesa e, soprattutto, avrebbe cancellato la riduzione al Vaticano dei possedimenti dello Stato Pontificio per ritornare a una dimensione imperiale: queste le aspettative delle gerarchie ecclesiastiche rispetto al sorgente potere fascista.
La stipula dei Patti Lateranensi fu intesa come il primo passaggio di una serie di revisioni che avrebbero rinverdito la tradizione delle due aquile, in una prospettiva completamente, infinitamente distante dalle aspettative mazziniane.
Anche Evola, avrebbe dovuto sentirsi distante da quelle posizioni, date le considerazioni emergenti dal suo saggio “Imperialismo Pagano“, ma non sembra che questo abbia comportato mutamenti nel suo tentativo di dimostrarsi più fascista dei fascisti, superfascista. E sarà da questa attitudine, o da questo atteggiamento, che verrà fuori una mossa che non è solo discutibile, ma esecrabile: quella di denunciare colui che gli aveva aperto le porte della letteratura, e cioè Arturo Reghini, attraverso lo scritto “Memorie di Massoni“.
A fronte di questo scritto, Reghini sporse querela, alla quale Evola reagì con peggior determinazione, giungendo a comporre una tanto elaborata quanto assurda delazione al procuratore del Re, un memorandum in cui Evola accusa esplicitamente Reghini di essere una delle massime cariche della massoneria (che era stata dichiarata nel 1923 “incompatibile” con il regime) e che la di lui intenzione sarebbe stata di comprometterlo, “sia come scrittore che come fascista”.
Il dattiloscritto di questo memorandum (che Pirrotta pubblica in copia anastatica in calce al suo volume monografico) è davvero emblematico e qualifica Evola non solo come delatore, ma anche lo ritrae soprattutto nella sua preoccupazione di non essere subordinato intellettualmente a Reghini (cosa di cui lo tacciava un giornale toscano “Fede e Ragione”, che lo descriveva come un prestanome “che nessuno fuor dai circoletti massonici conosceva e conosce”).
Desideroso della sua autonomia, il fascismo dev’essergli sembrato l’occasione della vita. Non esita Evola ad indicare l’internazionale ebraica come nemico da combattere. Inoltre, emerge anche una certa qual vocazione al pettegolezzo e alla calunnia quando, nel testo del famigerato memorandum, dichiara: “L’associazione tra il Reghini e il Parise. Tutto il mondo letterario sa che nel volume ‘Amo quindi sono‘ di Sibilla Aleramo, si tratta della morbosa passione tra l’autrice cinquantacinquenne e il venticinquenne e effeminato Parise”.
Non c’è animosità in questa lettera ma, prima di attribuire uno statuto di intellettualità importante ad un autore occorre vederne non solo l’opera ma anche la biografia.
L’insincerità dell’opera è adombrata dall’incoerenza della vita. Lo scagliarsi contro chi l’ha aiutato, il ricorrere alla calunnia e alle tecniche di sollecitazione inquisitoria degli untori ne completano il quadro.
Possiamo certo accogliere persone di umili origini, un pittore come Ligabue, uno scrittore come Rimbaud; o anche di anonima estrazione piccolo-borghese come Franz Kafka; non c’è preclusione: ma l’arrivismo dei saltafossi non è il miglior biglietto da visita, anche se, dobbiamo riconoscere, è esattamente il cliché della modernità. Quella modernità che Evola cavalca, dichiarando di volerla combattere.
Althotas, 2019
OPUS SOLIS – LUNA
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Documento che illustra in linea operativa le operazioni da eseguire in applicazione del Quaderno L::AUR “DE OPERATIONE SOLIS” applicate al giorno del Lunedi. Ogni giorno dell’Ebdomade ha una sua modalità specifica che rimane uguale rispetto allo schema generale, ma differisce per gli aspetti simbolici e le parole di passo. Noterà chi operi in questo modo che il rischio di errore è sempre in agguato: ciò non deve scoraggiare; al contrario, l’operante potrà misurare dal grado di perfezione con cui riesce a svolgere l’operazione la sua capacità di concentrazione, che costituisce motivazione fondante del Rito. L’obiettivo finale è abituarsi a tracciare cerchi intorno a sé, per estendere gli effetti dell’aura alla sfera degli altri significativi del nostro mondo, come il Sole tiene le orbite dei Pianeti Erranti. Questo documento, lungi dall’essere uno sfoggio celebrativo, è una semplice dimostrazione di metodo, richiesta in modo garbato da alcuni Membri della M::R::L::AUR, ed è loro destinato in forma riservata. Per chiarimenti e altre considerazioni sull’utilizzabilità nel Martinismo e la fonte di provenienza di questo Rituale, consultare il Filosofo Incognito della M::R::L::AUR=LUCE=207
Fondazione M thinks art as active dimension to join individual and social awareness, to create collective and connective intelligence and operating to get more rights, improving civilization through a spiritual access to life. Doing this, we have not fear to look inside the darker dimensions of our unconscious, but we are followers of the light.
Protetto: Meditazione [L]
Protetto: Superiori Sconosciuti
Protetto: Why Agartha is interesting for a Unknown Superior
Protetto: De Operatione Solis
Il Tibet, il Dalai Lama e l’Agartthi
Prendiamo spunto da un recente dossier apparso su TIME del 18 marzo 2019 per fare qualche considerazione sulla situazione del Tibet. La versione semplice sarebbe quella di un paese in esilio, vittima dal 1959 della persecuzione del regime comunista di Mao e da allora progressivamente deprivato dei propri atavici possedimenti.
Questa visione semplificata è certamente vera. A patto di non confondere la leggenda dell’ “Orizzonte Perduto” (come la definisce Charlie Campbell, autore del richiamato dossier) con la verità storica: “il regno non fu mai una utopia agraria e spirituale. La maggior parte dei residenti vissero un’esistenza hobbesiana. I nobili erano strettamente legati in sette classi, con il solo Dalai Lama appartenente alla prima. Pochissimi tra le persone comuni ebbero anche un livello minimo di educazione e istruzione. La medicina moderna era proibita, soprattutto la chirurgia, ed anche malanni minori erano causa di morte. Le malattie erano tipicamente trattata con impacchi d’orzo, burro e orine di una vacca sacra. L’aspettativa di vita per le persone esterne alle caste era di 36 anni. A chi si ribellava, accusato di un crimine, venivano tagliate le mani, le braccia o le gambe, a seconda della gravità dell’accusa.
Anche il Dalai Lama ammette che il Tibet era secoli indietro e insiste che lui avrebbe voluto apportare riforme. In certo qual modo, si può dire che l’occupazione comunista, nello spirito del tempo, avesse alcuni elementi di ragione. Non altrettanto si può dire oggi, perché la Cina ha dato un’interpretazione non soltanto totalmente materialista, ma addirittura di un materialismo che si apre alla società dei consumi e al capitalismo, introducendo ulteriore confusione. Proviamo quindi a vedere dietro il velo e, per farlo, apriamo le pagine de Il Re del Mondo di René Guénon.
Nel farlo, eviteremo di fare ossequio ad un autore fin troppo esaltato e che pochi riescono a distinguere come tradizionalista reazionario. Se mai, una nota va fatta per parlare del caso editoriale italiano. Tutti sanno che Il Re del Mondo fu pubblicato nel 1977 da Adelphi, casa editrice che giustamente rivendica di aver infranto la barriera invisibile che non permetteva a testi di ispirazione mistica e irrazionale di penetrare nel campo letterario italiano dominato dallo stretto rigore realista e neo-realista cui si ispiravano Einaudi, Mondadori, Longanesi, Feltrinelli e gli altri maggiori. L’affermazione è vera, ma bisogna ricordare che questo libro apparve in fascicoli all’interno delle pubblicazioni mensili dell’anno 1924 della rivista Atanór: ciò significa che, riconosciuto il merito di Adelphi rispetto alla letteratura italiana, occorre anche riconoscere il ruolo di Atanór, sia come rivista che come casa editrice, nell’essersi fatta albergo per la letteratura sino a poco tempo fa non accettata dalle accademie.
Detto questo, veniamo all’argomento: e troveremo in primo luogo, per ammissione dell’autore medesimo, che il tema non è un’invenzione originale, ma si deve a un’opera postuma di Saint-Yves d’Alveidre, La Mission de L’Inde, e alle conferme di quanto ivi trascritto da parte di Ferdinand Ossendowski, che dichiara però di aver scritto il suo libro Bêtes, Hommes et Dieux prima di aver letto il libro di Saint-Yves, e di aver ottenuto informazioni coincidenti mediante il suo viaggio tra il 1920 e il 1921.
Il centro della storia è una pietra nera inviata dal Re del Mondo al Dalai Lama. In virtù di questa attribuzione, il Dalai Lama rivestiva il ruolo di Custode della Soglia dell’Agartthi, e il Palazzo del Potala a Lasah ne sarebbe il portale d’accesso.
Non dobbiamo considerare questa storia allegorica, o pur leggenda che si voglia dire, come esclusiva prerogativa della tradizione orientale: perché l’altro nome dell’Agartthi è Paradesha, da cui deriva il Pardes dei Caldei (e la famosa storia talmudica dei Quattro che entrarono nel Pardes).
Infine, non potremo certo trascurare la narrazione gnostica, in Pistis Sophia, della fuga di Gesù Cristo da Gerusalemme, e del suo viaggio in India per discendere nel luogo degli Arconti.
Scandalo teurgico
Nel trattare le dinamiche della meditazione contemplativa in rapporto a quelle della meditazione attiva, un precedente articolo (Cardiaco e Teurgico) ha già operato la distinzione sostanziale, attribuendo alle due strade la stessa meta: e cioè il raggiungimento di uno stato immune (o, almeno, sufficientemente immune; il quanto dipende dalla qualità della concentrazione) dai pensieri quotidiani, dalle ansie e dalle preoccupazioni.
Per motivare questa affermazione, l’argomento traeva alimento da un modo consueto di esprimere questo lavoro: creare il vuoto mentale. Questa definizione, in effetti, è corretta solo in parte: perché la mente non è mai vuota, anzi. Il punto è quello di sgomberare la mente dal disordine e dalla confusione che ansie e preoccupazioni producono, per giungere alla condizione in cui pensieri superiori e intuizioni profonde possono manifestarsi.
Per ottenere questo stato, ci sono quindi due vie: quella della meditazione e quella dell’azione rituale.
La via della meditazione è dolce ma non è semplice: si tratta di raggiungere uno stato di grazia attraverso una pacificazione interna che si può ottenere mediante la respirazione o la riflessione su pensieri sottili, fino all’allentamento delle tensioni e all’ingresso in uno stato di trance o semi-trance ai limiti del sonno. Per chi intenda raggiungere questa condizione attraverso l’allineamento della respirazione, le tecniche della respirazione yoga (pranayama) sono le più indicate, meglio se sorrette da mudra e mantra (chi lo volesse, può dare uno sguardo a questo specifico ebook). Da soli, non è semplice ottenere le condizioni di concentrazione e disciplina che la pratica richiede. Per quanto riguarda i gruppi, questi hanno possibilità di funzionare; ma spesso solo per un periodo di grazia, dopo il quale fatalmente si sfaldano, si sfilacciano, si decompongono.
La via dell’azione rituale, che talora si trova detta anche eroica, è in certo qual modo più facile ed efficace per l’azione individuale, perché si tratta infine di eseguire un copione (meglio, un canovaccio) di parole e gesti orientati nella sequenza (cioè nel tempo) e nello spazio. La capacità di eseguire senza errori queste sequenze è indice della qualità della concentrazione di chi le esegue, che ha dunque la possibilità dell’immediata verifica. Poiché queste parole e questi gesti sono totalmente estranei all’agire quotidiano, è evidente che la perfetta esecuzione manifesta l’allontanamento dai pensieri ordinari. Sembrerebbe dunque tutto perfetto per questa azione teurgica, ma dobbiamo considerare come sia considerata complessa e pericolosa, al punto da esser ancor oggi un vero scandalo. Veniamo così all’oggetto di questo articolo e cerchiamo insieme di cavarci fuori dagli schemi della superstizione medievale, affrontando subito l’immagine simbolo con cui la letteratura e l’arte ci tramandano, etichettandola come tentativo scellerato, l’opera teurgica di Faust.

Illustrazione di Harry Clark per l’edizione 1925 del Faust di Goethe. Fonte: Wiki https://en.wikipedia.org/wiki/Faust
Se il fine dell’operazione teurgica è comune a quello delle tecniche di meditazione, e cioè tenere a distanza i pensieri quotidiani, lo scandalo della via teurgica consiste nell’ottenere questo risultato non con una azione passiva di resistenza, come nel caso delle tecniche di meditazione, ma con una via attiva, che comporta gesti ed azioni realizzate in uno spazio consacrato e contrassegnato da cerchi, quadrati, triangoli, con parole chiave da pronunciare vibrandole in corrispondenza dei momenti in cui questo deve accadere.
La trasmissione medievale ha tramandato queste procedure come arte di comandare agli spiriti: ed è qui che si innesta lo scandalo che questa via genera verso coloro che osano percorrerla, perché comandare agli spiriti è sempre stata intesa come azione diabolica, proprio come l’operazione magica di Faust, il cui esito è l’apparizione di un demone che del resto, già al suo primo apparire, altro non può fare se non deridere l’incauto avventato avventore.
Sarebbe superficiale respingere questo modello come invenzione letteraria e l’intera trasmissione dei grimoires e delle altre opere della letteratura magica come superstizione; piuttosto, se ne dovranno cogliere la complessità e la stratificazione: anche perché, al di sotto delle coltri medievali, abitate e agitate da mistici e alchimisti, si scopriranno strati di età pre-cristiana, che includono l’arte cabalistica con i suoi sigilli, chiavi e clavicole, riconnettendosi, attraverso la tradizione zoroastriana dei Magi, alle più remote e ancestrali radici mesopotamiche e sumere.
Poiché viviamo nel XXI secolo, potremo con ragione tentare di smarcarci dalla prospettiva della superstizione. Ma non altrettanto avremmo ragione se cercassimo di eludere l’archetipo Faust: infatti, se per sottrarci alle categorie della superstizione ci rivolgeremo alla psicoanalisi, allora d’un colpo, d’incanto, tutto ciò che prima poteva apparire oscuro e demoniaco si manifesterà adesso semplicemente come repertorio di immagini del nostro inconscio. Tuttavia, questo cambio di categoria interpretativa, a ben vedere, non è che un significativo cambio di denominazione.
Significativo, perché cambia i parametri di interpretazione, ma anche solo nominale, perché non cambia la sostanza delle forze in gioco. Trasportare la logica del bene e del male dal campo dell’ethos religioso a quello dell’indagine razionale dell’analisi della psiche, anche ammettendo l’illusorietà delle contrapposizioni, non può negare la presenza di forze intese a costruire (coagula) e forze intese a disgregare (solve). È vero che entrambe sono utili nella realizzazione di qualsiasi cosa: ed è anche vero che possiamo costruire una gabbia intorno a noi stessi, oppure distruggere qualcosa che invece avremmo dovuto preservare. Se la meditazione si limita ad osservare, l’azione magica ha la pretesa di intervenire attivamente, di comandare sulle forze dell’inconscio, sugli spiriti. In questa affermazione è il contenuto di scandalo come sacrilegio, inteso come indebita incursione nella sfera del sacro, di chi ardisce a tanto osare.
Poco importa che l’atto magico disponga un comando verso spiriti che esistono oggettivamente al di fuori di noi oppure che siano questi soltanto proiezioni psichiche del nostro inconscio: egualmente si tratta di forze attive che possono influire su di noi. A differenza della meditazione, che si limita a osservarle e placarle con la forza del distacco, l’azione teurgica su queste forze può produrre effetti inconsapevoli, poiché agisce appunto sull’inconscio: e questi effetti possono eccedere la misura di quel che l’Adepto è in condizione di poter contenere.
La conclusione di questo breve trattato ci conduce a dire che la via teurgica è certo più pericolosa per l’Adepto, se comparata con la meditazione. Questa affermazione non va confusa con dogmi religiosi e paure ataviche, poiché è sorretta dalla constatazione che le operazioni rituali agiscono sugli archetipi dell’inconscio individuale e collettivo, e che questi archetipi producono modificazioni sulla struttura delle emozioni e dei desideri, con l’effetto generale di influire sul destino – da intendere etimologicamente come destinazione – dell’agente. Infine, l’azione teurgica amplifica la responsabilità di chi la esercita. Per questa ragione, e secondo i formulari in uso nel N::V::O::, è necessario ripetere l’esortazione a comportarci con prudenza e moderazione.