Per dare corso alle domande del titolo occorre prima spiegare chi o cos’è un reazionario, in questo tempo in cui tutti credono di saper tutto e nessuno sa niente, in questo tempo in cui le parole vengono utilizzate con un significato opposto alla loro verità.
Reazionario è il contrario di rivoluzionario. Reazionario è chi, di fronte a una protesta di popolo, si schiera a sostegno del potere. Non importa se il popolo ha fame: importano solo le ragioni superiori del potere.
Giulio Cesare Evola è un reazionario. Non perché sia di nobili origini: suo padre è un meccanico, sua madre una casalinga: come scrive Luciano Pirrotta nel saggio “La Maschera di Pietra – Julius Evola dall’Idealismo Magico alla Tradizione“, entrambi erano di modesta estrazione sociale e di nessuna ascendenza nobiliare, per quanto ‘Julius’ tenesse alquanto ad esser chiamato barone”.
Evidentemente, non abbiamo nulla in contrario alle umili origini. Quel che diventa difficile da sopportare è l’arroganza con cui Julius salta dall’altra parte. Ad aiutarlo in questo intento è una persona che da lui riceverà non tanto ingratitudine ma piena ostilità: l’uomo chiave di questa storia è Arturo Reghini, che offre a Evola di collaborare alla rivista Atanor.
Lo fa con riluttanza, Reghini, e lo scrive in apertura, come presentazione del saggio di Evola, sentendo quasi di dover giustificare l’inclusione, in una rivista di filosofia spiritualista, di un articolo politico. E lo fa con sapienza, perché vede in quell’articolo non un contributo alla politica in senso spicciolo, ma una critica importante per il tempo in cui avveniva e con implicazioni nella dimensione esoterica. Anche se non poteva prevedere gli esiti infausti di quella scelta.
Il matematico Reghini non è un uomo semplice né un superficiale. Raffinato pitagorico, ha acume, intelletto, qualità intellettuale. Riconosce in Evola il vento della novità contemporanea. Non sa ancora fin dove l’arrivismo senza freni di un ipotetico poeta dadaista può arrivare.
Se per Reghini il motivo di contemplazione è la natura dell’Io e della sua collocazione rispetto all’Universo intero, il tema esistenziale del superamento dell’egoità per entrare in connessione con l’Essere Universale, ecco in Evola il ribaltamento di un superuomo nietzscheiano che non cede nulla del suo ego e, al contrario, pretende di tutto contenere, divorare.
Inevitabile per Evola il desiderio di percorrere l’occasione di scalata sociale che gli poteva offrire il fascismo. Da figlio del meccanico a ideologo del regime! Ma le vicende non sono facili: Evola chiede più volte di iscriversi al PNF e, di fronte al rifiuto – a causa della revoca del grado di ufficiale di complemento in esercito, che aveva riportato per motivi disciplinari, subendo la riduzione a soldato semplice – non esita a ricorrere a pressioni e raccomandazioni di amici influenti.
René Guénon, probabilmente il miglior scrittore tra i compassati esoteristi di maniera – sua la definizione di rivelare come “velare nuovamente” -, sospetta delle capacità critico-intellettuali di Evola e, ironicamente, scrive: “Sono curioso di sapere quel che Evola vi dirà del libro tibetano; senza dubbio vi avrà visto ancora della ‘magia’ perché, secondo lui, tutto vi si riconduce”.
La posizione di Reghini è piuttosto quella della Tradizione: rivendica alla Massoneria il ruolo di testimone e custode ideale della sapienza esoterica “italica” sedimentata nei secoli attraverso Orfismo, Pitagorismo, Ermetismo, per giungere a Dante Alighieri, a Giordano Bruno. Reghini si colloca in un’area di mezzo che tenta di conciliare Napoleone Bonaparte (attribuendogli il ruolo di redivivo Imperatore, rinnovatore dei fasti di quell’idea di Impero mai sopita, che covava sotto la cenere di secoli di oppressione clericale e mercantilista) e Giuseppe Mazzini (cui riconosceva il più alto ruolo di vero Padre della Patria). Per questa via, giunge a posizioni simili a quelle definite da Giovanni Gentile, che volle fare di Mazzini un precursore di Mussolini.
A questa concezione molto contribuì, specie sotto il profilo della dottrina magica, Evola che, con la rivista Krur, inventò il famoso resoconto medianico “Ekatlos” che avrebbe condotto alla cerimonia con cui vennero offerti a Mussolini uno scettro, un’ascia etrusca e il fascio littorio che era stato della Repubblica Romana, al tempo di Mazzini.
Le cronache affermano che Mussolini non diede peso a questa iniziativa, che avrebbe dovuto essere l’inizio del percorso magico del fascismo e, soprattutto, avrebbe dovuto stabilire continuità con il progresso mazziniano. Al contrario, Mussolini optò per stabilirsi a Villa Torlonia, dove l’aristocrazia dello Stato Pontificio lo circondò di attenzioni affinché fosse cancellata per sempre l’eresia mazziniana e si giungesse a riaffermare il potere del Papa, in un’alleanza imperiale che avrebbe ridimensionato le pretese Repubblicane di autonomia dalla Chiesa e, soprattutto, avrebbe cancellato la riduzione al Vaticano dei possedimenti dello Stato Pontificio per ritornare a una dimensione imperiale: queste le aspettative delle gerarchie ecclesiastiche rispetto al sorgente potere fascista.
La stipula dei Patti Lateranensi fu intesa come il primo passaggio di una serie di revisioni che avrebbero rinverdito la tradizione delle due aquile, in una prospettiva completamente, infinitamente distante dalle aspettative mazziniane.
Anche Evola, avrebbe dovuto sentirsi distante da quelle posizioni, date le considerazioni emergenti dal suo saggio “Imperialismo Pagano“, ma non sembra che questo abbia comportato mutamenti nel suo tentativo di dimostrarsi più fascista dei fascisti, superfascista. E sarà da questa attitudine, o da questo atteggiamento, che verrà fuori una mossa che non è solo discutibile, ma esecrabile: quella di denunciare colui che gli aveva aperto le porte della letteratura, e cioè Arturo Reghini, attraverso lo scritto “Memorie di Massoni“.
A fronte di questo scritto, Reghini sporse querela, alla quale Evola reagì con peggior determinazione, giungendo a comporre una tanto elaborata quanto assurda delazione al procuratore del Re, un memorandum in cui Evola accusa esplicitamente Reghini di essere una delle massime cariche della massoneria (che era stata dichiarata nel 1923 “incompatibile” con il regime) e che la di lui intenzione sarebbe stata di comprometterlo, “sia come scrittore che come fascista”.
Il dattiloscritto di questo memorandum (che Pirrotta pubblica in copia anastatica in calce al suo volume monografico) è davvero emblematico e qualifica Evola non solo come delatore, ma anche lo ritrae soprattutto nella sua preoccupazione di non essere subordinato intellettualmente a Reghini (cosa di cui lo tacciava un giornale toscano “Fede e Ragione”, che lo descriveva come un prestanome “che nessuno fuor dai circoletti massonici conosceva e conosce”).
Desideroso della sua autonomia, il fascismo dev’essergli sembrato l’occasione della vita. Non esita Evola ad indicare l’internazionale ebraica come nemico da combattere. Inoltre, emerge anche una certa qual vocazione al pettegolezzo e alla calunnia quando, nel testo del famigerato memorandum, dichiara: “L’associazione tra il Reghini e il Parise. Tutto il mondo letterario sa che nel volume ‘Amo quindi sono‘ di Sibilla Aleramo, si tratta della morbosa passione tra l’autrice cinquantacinquenne e il venticinquenne e effeminato Parise”.
Non c’è animosità in questa lettera ma, prima di attribuire uno statuto di intellettualità importante ad un autore occorre vederne non solo l’opera ma anche la biografia.
L’insincerità dell’opera è adombrata dall’incoerenza della vita. Lo scagliarsi contro chi l’ha aiutato, il ricorrere alla calunnia e alle tecniche di sollecitazione inquisitoria degli untori ne completano il quadro.
Possiamo certo accogliere persone di umili origini, un pittore come Ligabue, uno scrittore come Rimbaud; o anche di anonima estrazione piccolo-borghese come Franz Kafka; non c’è preclusione: ma l’arrivismo dei saltafossi non è il miglior biglietto da visita, anche se, dobbiamo riconoscere, è esattamente il cliché della modernità. Quella modernità che Evola cavalca, dichiarando di volerla combattere.
Althotas, 2019